COSA COVA SOTTO L’INCENERITORE

PRC Borgo San Lorenzo 5 marzo 2013 0
COSA COVA SOTTO L’INCENERITORE

Marco Adorni, Roberta Roberti – Parma Bene Comune

tratto da “Il Manifesto”

In una città fra le più inquinate d’Europa, l’amministrazione comunale guidata da Pizzarotti non può impedire l’apertura del forno. E anche l’acqua pubblica potrebbe essere a rischio.

Come Parma Bene Comune si è deciso di andare un po’ controcorrente rispetto al mainstream del dibattito pubblico postelettorale. Invece di commentare l’esito del voto e la straordinaria affermazione grillina, preferiamo riflettere sull’interpretazione secondo cui il MoVimento 5 stelle apparterrebbe all’area politico-culturale della sinistra. Perciò abbiamo ritenuto riportare all’attenzione della cronaca politica nazionale alcuni elementi di “verità fattuale” circa l’effettivo modo di governo dei 5 stelle su uno dei punti più importanti del loro programma: i beni comuni.

Abbiamo il vantaggio di giocare in casa. I grillini governano Parma ed è sulle res gestae del loro operato come giunta che ci possiamo basare per imbastire un pacato ma approfondito ragionamento su ciò che ci pare una contraddizione fondamentale tra la “lettera” e lo “spirito” del MoVimento.

Se l’Italia, ancora una volta, è un «laboratorio politico», non vi sono dubbi che Parma lo sia in modo ancor più sostanziale, anzitutto per ragioni di precedenza temporale. Onde evitare di essere accusati di fare critiche senza avanzare proposte, intendiamo dare un contributo che, oltre a volere spingere l’attuale giunta a riflettere sugli assiomi di quel “pragmatismo ragionieristico” con cui rimanda al mittente ogni ipotesi critica verso il suo operato, fornisca alternative percorribili. Parliamo del rapporto fra territorio del comune di Parma e Iren.

Il nodo centrale è certamente quello dell’inceneritore, specie se si parla di una città fra le più inquinate d’Europa. Purtroppo, però, al di là delle promesse dei 5 stelle in campagna elettorale, l’amministrazione comunale non può impedire l’apertura del forno. Ora, alla vigilia dell’accensione, al di là dell’auspicio che l’ultima vertenza legale istruita dagli avvocati Allegri e De Angelis per decorrenza dei termini nella concessione dell’appalto possa ottenere un ulteriore rinvio, pare difficile che si possa ottenere ciò che sarebbe congruente con la volontà espressa da una larghissima maggioranza dei cittadini (se è vero che l’oltre 60% dei consensi al sindaco 5 stelle Pizzarotti viene dal No all’inceneritore e dal Sì alla riconversione dell’impianto).

Nell’attesa di poter realizzare questa prospettiva, la richiesta più urgente doveva essere: ottemperare all’obbligo di consegna del Piano economico finanziario (Pef) da parte di Iren e assegnare la raccolta rifiuti a un’azienda diversa da quella deputata al loro smaltimento; svolgere una verifica di fattibilità del recupero e riciclaggio; imporre il divieto di importare rifiuti da fuori provincia; esigere l’attenzione della Regione sulla specificità della situazione locale (moltissimi sforamenti nei parametri di inquinamento ed elevata incidenza di malattie riconducibili ad esso).

Molti punti interrogativi restano senza risposta. Ad esempio, perché il comune non ha detto di avere il Pef di Iren, se non con notevole ritardo? È accettabile che la stessa ditta, cioè Iren, che guadagna incenerendo, si occupi della raccolta differenziata? In che modo si giustifica la nomina di Lorenzo Bagnacani in qualità di rappresentante del comune di Parma, dato l’evidente conflitto di interessi che lo riguarda? Quali sono state le effettive interlocuzioni fra il vicesindaco Paci e l’assessore Folli e il vicepresidente Villani (Pdl) in merito all’inceneritore? È stata avanzata ad Iren la richiesta di drastica riduzione dell’attuale costo pagato per lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati a Parma (164 euro/tonnellata rispetto ai circa 100 euro pagati nelle altre città)?

Ma la risoluzione della questione inceneritore potrebbe mettere Parma in conflitto con gli altri comuni azionisti di Iren: il mancato profitto e il blocco dell’impianto, infatti, recherebbe danno anche a loro. E non è difficile prevedere quali logiche prevarranno sulla scelta, se quelle della salute di tutti i cittadini o quelle degli interessi privati di un’azienda.

Ma parlando di Iren a Parma, un’altra questione ci appare degna di grande attenzione. I protagonisti sono sempre gli stessi, ma stavolta il tema è quello dell’acqua. Tra le multiformi attività svolte da Iren direttamente o mediante società o enti di partecipazione, troviamo anche la gestione dei «servizi relativi al ciclo idrico integrato». Il controllo della multiutility è dunque di fondamentale importanza per coloro che abbiano a cuore una gestione di effettiva tutela dell’acqua come bene comune.

Il comune di Parma detiene il 6,11% del pacchetto azionario di questa società, il cui azionista di maggioranza risulta essere la Finanziaria sviluppo utilities s.r.l. (33,3%); di peso nettamente inferiore i pacchetti in mano al comune di Reggio Emilia (7,76%), Finanziaria Città di Torino (7,4%), Intesa San Paolo (2,84%) e Fondazione Cassa di risparmio Torino (2,32%); il restante 40,27% è disseminato nel gruppo degli azionisti minori. Uno squilibrio, nella composizione azionaria, tra pubblico e privato, che pone seri interrogativi sulla capacità di controllo strategico che il comune di Parma ha affermato di sapere e volere mantenere. I soggetti privati detentori della maggioranza di quote di capitale di Iren sono rappresentanti di banche e finanza, da cui dipende il bilancio comunale. Crediamo dunque che il destino dell’acqua come bene comune sia fortemente a rischio.

Inoltre, la Finanziaria sviluppo utilities, azionista di maggioranza di Iren, è nota per aver gestito la partecipazione azionaria dei comuni di Genova e Torino all’interno prima di Iride, poi di Iren stessa, con risultati che i movimenti di quelle città – Coordinamento ambientalista rifiuti del Piemonte, Comitato acqua pubblica di Torino e Genova, Comitato gestione corretta rifiuti di Genova, etc. – hanno definito nei termini di una tragedia della democrazia: «I consigli comunali di Torino e Genova sono di fatto rimasti all’oscuro: una sostanziale perdita di controllo democratico sulla gestione di attività fondamentali a servizio del territorio».

Naturalmente, l’affidamento all’ente pubblico locale della gestione dei beni comuni non risolve tutti i problemi. Ma non vi sono dubbi che la ripubblicizzazione del servizio idrico si ponga come la conditio sine qua non di un progressivo affrancamento dall’onnivoro dispotismo della macchina di valorizzazione finanz-capitalistica.

A Parma già da tempo l’acqua è sotto l’assedio degli interessi privati. La scorsa amministrazione ha utilizzato le sue quote in Iren per salvare il destino di due fabbriche di debiti: Parma Infrastrutture e Stt. Con delibera consiliare del 2011, il comune decise di trasferire alle sue due società partecipate una quota corrispondente a un valore di 71 mln. di euro della sua partecipazione azionaria in Iren. Grazie a questo trasferimento azionario si contava di ottenere dalle banche le fideiussioni per salvare Parma Infrastrutture e Stt dal fallimento. E nell’estate 2011, quella degli arresti eccellenti e della caduta della giunta Vignali, la Banca nazionale del lavoro richiese una garanzia supplementare ai fini dell’erogazione del credito: il vincolo di 12 mln. di azioni Iren.

E oggi? Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti e l’assessore al bilancio Gino Capelli, nell’incontro del 23 gennaio con le rappresentanze sindacali confederali, di categoria e di Iren, hanno sostenuto che nonostante il controllo pubblico della multiutility sia strategico si farà il possibile, ma non ci si potrà esimere dal rispetto delle obbligazioni già assunte con il sistema bancario dalla precedente amministrazione. Il “possibile” significa confermare la quota pubblica nel capitale di Iren e quella detenuta dalla controllata Parma Infrastrutture.

Il piano di ristrutturazione di Stt, approvato dal consiglio comunale, invece prevede la vendita, nel 2015, di parte delle quote detenute dalla società in Iren come garanzia verso le banche. Non a caso il Coordinamento Acqua pubblica di Parma ha espresso forte preoccupazione alla notizia secondo la quale, per far quadrare il bilancio, il Comune si appresterebbe ad alienare il pacchetto azionario di sua proprietà: nella sua petizione, il Coordinamento denuncia il rischio della vendita del servizio idrico da parte di Iren a Mediterranea Acqua, la cui proprietà è del 60% di Iren e del 40% di Fvi, una finanziaria. Pochi giorni prima, a Genova, il presidente di Iren aveva detto che i debiti della multiutility sarebbero stati ripianati in parte vendendo l’acquedotto di Parma.

Anche su questa vicenda, pur dicendosi contrario alla vendita di parte dell’acquedotto, il sindaco Pizzarotti si è impegnato a fare il possibile. Ma «il possibile» non significa «il necessario», e ci si dimentica di ammettere che un controllo strategico, già nelle condizioni attuali, risulta operazione improba, come dimostrato dalla distribuzione del capitale.

Perché non tentare, invece, il coraggioso percorso di ripubblicizzazione dell’acqua intrapreso dalle amministrazioni di Reggio Emilia e Piacenza, in cui pure opera Iren?

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